Nocturne- by Louise Gluck- Poetry in translation

Nocturne

BY LOUISE GLÜCK

Mother died last night,
Mother who never dies.

Winter was in the air,
many months away
but in the air nevertheless.

It was the tenth of May.
Hyacinth and apple blossom
bloomed in the back garden.

We could hear
Maria singing songs from Czechoslovakia —

How alone I am 
songs of that kind.

How alone I am,
no mother, no father —
my brain seems so empty without them.

Aromas drifted out of the earth;
the dishes were in the sink,
rinsed but not stacked.

Under the full moon
Maria was folding the washing;
the stiff  sheets became
dry white rectangles of  moonlight.

How alone I am, but in music
my desolation is my rejoicing.

It was the tenth of May
as it had been the ninth, the eighth.

Mother slept in her bed,
her arms outstretched, her head
balanced between them.


NOTTURNO
TRADUZIONE DI VALENTINA CALISTA

La madre è morta stanotte.
La madre che mai muore.  
L’inverno era nell’aria,
molti mesi fa
ma comunque nell’aria.  

Era il dieci di Maggio.
Giacinto e fioritura di melo
sbocciarono nel retro del giardino.  

Potevamo sentire Maria
cantare canzoni della Cecoslovacchia.  

Come sono sola
Canzoni di questo genere.  

Come sono sola,
nessuna madre, nessun padre
il mio cervello sembra così vuoto senza loro.  

Gli aromi vagavano fuori la terra;
i piatti nel lavandino,
lavati ma non impilati.  

Sotto la luna piena
Maria piegava la biancheria;
le rigide lenzuola erano
bianchi asciutti rettangoli di chiarore lunare.  

Come sono sola, ma nella musica
la mia desolazione è il mio rallegrarmi.  

Era il dieci di Maggio
come fosse stato il nove, l’otto.  

La madre dormiva nel suo letto,
le sue braccia tese, la sua testa
in equilibrio tra loro.  

Nuova pubblicazione e direzione di collana di poesia- La Ginestra

L’anno nuovo si apre con la pubblicazione del mio nuovo libro Juvenilia. Il tutto che m’inonda. Sono grata alla casa editrice Delta3Edizioni, all’editore Silvio Sallicandro per avermi chiesto di ideare e dirigere la collana di poesia La Ginestra.

Cura, eleganza, essenzialità, e soprattutto alta qualità.

Per i poeti emergenti invece abbiamo ideato Poetae Novi, una collana che vuole dare spazio principalmente alle opere prime.


Chi volesse informazioni per pubblicare nelle due collane può scrivermi in privato oppure una email.

Vi aspetto!


LA GINESTRA
La collana si propone di pubblicare voci della poesia italiana contemporanea facendo particolare attenzione alle ricerche poetiche degli autori. Gli autori raccontano se stessi attraverso una universalità poetica incarnata simbolicamente dal richiamo alla ginestra leopardiana. La poesia italiana contemporanea è qui raccolta come testimonianza di esistenza, e non di dissolvenza, in un tempo veloce che tende a disgregare ogni contatto con l’assoluto, la natura, il silenzio, l’umano. Autori e ricerche poetiche che sono, usando una immagine di Grazia Deledda, come “ginestre” che fioriscono su sentieri rocciosi a simboleggiare “lampade accese” in questi tempi bui della nostra contemporaneità.


POETAE NOVI
L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentarle con novità.
(Ugo Foscolo)
La collana vuole creare un luogo che possa accogliere opere prime di voci nuove, giovani, fresche senza aver paura della rappresentazione della novità. Poetae novi è un punto di partenza sperimentale per le future generazioni di autori e per nuove ricerche poetiche che possano tracciare sentieri innovativi nel quadro della tradizione poetica italiana contemporanea.

Anima Mundi. Poemetto sulla creazione e sulla distruzione.

Anima Mundi. Poemetto sulla creazione e sulla distruzione.

Estratto da Juvenilia. Il tutto che m’inonda, in uscita per Delta3Edizioni.

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Anima Mundi ascolta:

le nostre iridi sono sazie a vedere

l’uomo devastare la tua pelle.

Anima Mundi ascolta

il timido intercedere

di cuori esplosi.

Se guardo l’altezza del Creato

tutto gira nell’infinitezza

di un istante.

È l’ora in cui finalmente sento.

È l’ora in cui finalmente vivo.

*

L’ora in cui nascesti

fu di silenziosa espansione

dove il Nulla era il Tutto.

Zampillavano i fuochi eterni

dentro nere zolle terrestri

all’apice dell’evoluzione.

Eravamo bellezza e comunione,

sangue e corpo insieme,

mani nelle mani.

I giardini portavano il tuo nome.

Tutti gli astri cantavano il tuo odore.

*

Presto l’alba battezzò i luoghi,

le anime e tutte le carni.

Distese di oceaniche ebbrezze.

La materia fu tale per il visibile,

l’etereo fu di Dio sospiro lontano,

l’amaro dilagò nelle crepe.

Per ogni tuo strappo iniziò potere,

per tutte le terre Morte comparve,

per tutte le bocche fame di niente.

Dai tuoi sorrisi l’oro di pietra fu colto.

L’argento delle tue fortune abbandonato.

*

Cavalcarono le tue isole

a scoprire l’esistenza

degl’inestimabili doni

ma non seppero tenere

l’oro sugli altari

per celebrarti eterna.

Anima Mundi prega

per le radici strappate

dai tuoi seni fertili.

Anima Mundi prega

l’argento dal Nulla divorato

e dalle memorie occultato.

*

Uomo nell’uomo fu parola vera

e carne eterna di vita mutò

entro l’ampio pendio della tua grazia.

Donna fu divina prima di te, sola

e poco amata nel suo ventre di terra.

Ma fu guardiana della grande esistenza.

Donna, dilaniato il ventre per la cattiva sorte

di uomini che l’amore chiamarono casa,

la tua solitudine crebbe come rosa del deserto.

Pronunciarono il tuo nome sulle pietre

con labbra sporche di carbone e fango,

oscurarono la tua potenza di madre terrena.

Pochi di loro – che legarono la propria anima

al cuore – capirono l’importanza dell’altare,

dimora della tua eterna volontà di stare.

Intervista su “L’EstroVerso”

 La versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 05.04.2020, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi

https://www.lestroverso.it/valentina-calista-labbraccio-che-manca-al-giorno-la-poesia-come-spazio-sacro-e-incontaminato-per-riconnettersi-con-luniverso/?fbclid=IwAR1l_lHz5o9a91BkJWCbeHDlCjI2-_tbJF_dDBmFcEwoojlqUUTgOkudHyw&cn-reloaded=1

“Mai come oggi la poesia ha, secondo me, la funzione di ricordarci la nostra umanità. La poesia, quella vera, ci ricorda, quando glielo permettiamo, che siamo sempre alla ricerca di bellezza, che ne abbiamo bisogno per vivere e sopravvivere in questa contemporaneità che lascia indietro le cose più belle della vita a favore del superfluo, dell’ego e del capitalismo. La poesia oggi ha l’incarico di farci fermare, pensare, sospirare ancora, farci guardare alla nostra vocazione umana, ai nostri sentimenti, quelli veri, profondi, che nella frenesia quotidiana si fanno da parte schiacciati dai nostri atteggiamenti di sopravvivenza. Ecco, la poesia oggi ci ricorda il valore del silenzio, di uno spazio intimo nel quale ancora possiamo permetterci di Essere

Il bene e il male: liberi di odiare. Siamo davvero liberi?

La violenza è sempre esistita, eternamente il male vuole prevalere sul bene e quest’ultimo, dalla notte dei tempi, lotta per impedirlo. Le religioni, la teologia e la filosofia hanno per prime cercato di scandagliare l’abisso del mistero del male, il quale da sempre stimola tormento e angoscia nella coscienza dell’uomo. «Dio è morto», ha detto, lapidariamente, Nietzsche. Bene e male sono le due entità che muovono il mondo e l’essere umano, le sue azioni, dal singolo alla massa.

Perennemente in antitesi, già in antichità per la filosofia il male era inteso come non-essere. Il male è quindi un non-esistere? La Storia ci ha posto spesso davanti al male estremo e alla domanda Perché esiste il male? Non andranno più via dalle nostre menti le immagini degli stermini di massa, dei sopravvissuti ai campi di concentramento, dei corpi esanimi dei migranti che galleggiano sull’acqua trasportati dalla marea da un estremo all’altro del Mediterraneo, degli abusi sugli animali vittime della malvagità dell’uomo.

Il male c’è, è lo sappiamo. Eppure, nonostante le infinite prove che il male ci ha dato della sua esistenza e del potere dell’uomo di assecondarlo o meno, continuiamo ciechi a navigare nei suoi abissi. Per Sant’Agostino il male appartiene alla sfera umana. Tuttavia, l’uomo ha facoltà di discernimento e per imparare a farlo è necessario porsi in ascolto della nostra anima e intraprendere un dialogo con sé stessi molto impegnativo. A un certo punto capiremo come comportarci davanti al bivio, se lo vogliamo, se lo sappiamo pensare. Molti, infatti, hanno perso questa facoltà o forse, molto probabilmente, non l’hanno mai coltivata: «Supera te stesso e supererai il mondo» scriveva il Santo d’Ippona.

È chiaro che oggi l’uomo ha perso la capacità di superare sé stesso e di provare quel meraviglioso e benefico sentimento che è la compassione. Per questo l’uomo contemporaneo non conosce davvero il mondo, pur viaggiando e andando sulla luna. Ma cos’è davvero la compassione? La parola, di derivazione latina, ci riconduce immediatamente alla capacità di soffrire insieme: cum (con) patior (soffro). Eppure siamo stati in grado di far pendere l’ago della bilancia sull’uso di questo termine in senso di pietà, non la pietas dell’affettuoso dolore e commossa partecipazione ma quella della commiserazione e del disprezzo.

E quindi? Non siamo più in grado di soffrire con l’altro, con il nostro prossimo, con il vicino, con chi è altro da noi. L’altro, questo sconosciuto. Viviamo in un’epoca in cui ogni cosa che è altro da noi è percepita come pericolo alla nostra integrità morale e fisica. L’altro è il nemico che si insinua nella nostra vita, nella nostra interiorità, nella nostra società, nella nostra personale piramide di idee, sempre pronto a rubarci qualcosa. Ma cosa?

L’ideologia è la peggior nemica del dialogo. Le ideologie spezzano, rompono, frantumano la possibilità di dialogo attraverso la violenza. Io sono cristiano, tu sei musulmano, io sono eterosessuale, tu sei omosessuale, io sono bianco, tu sei “negro”, io sono borghese, tu sei un poveraccio, io sono un commerciante in rovina per colpa delle salate tasse che devo pagare allo Stato, tu sei l’impiegato statale, l’insegnante che beneficia di tre mesi di vacanze sulle spalle dei cittadini. Sono solo esempi.

Una dicotomia dialettica tutta basata sulla profonda distanza dell’io dal tu. L’io che fa il j’accuse al tu. I ponti non esistono più, abbiamo costruito solo muri. Tu sei “altro” da me, da ciò che io sono convinto essere giusto. Per Socrate il male era l’ignoranza, il bene era la sapienza, la conoscenza. L’ignoranza è il motore di questa deriva sociale, psicologica, morale, spirituale e culturale. Ignoranza intesa soprattutto nel suo primario significato di non conoscere e, poi, come qualcosa che si dovrebbe sapere e non si sa. Pertanto l’ignorante è colui che ignora le altre realtà esistenti, è colui che non conosce altro da sé stesso. Nella visione socratica del male, se quest’ultimo è l’ignoranza, l’ignorante è messaggero del male. Da questo piccolo spazio che è l’ignoranza, in cui l’io si contorce su sé stesso senza volontà di apertura all’altro, il giudizio si sedimenta creando l’odio.  

Un grande osservatore del nostro folle  tempo contemporaneo, il poeta e saggista David Maria Turoldo, prete servo di Maria, ha dedicato tutta la sua vita cercando di incanalare il suo pensiero sul mondo nella sua scrittura fatta di riflessione profonda su quell’eterna lotta tra il bene e il male all’interno della quale si compie la Storia, da lui definita «cronaca nera del mondo». Siamo nell’epoca della “cronaca nera del mondo” in cui molte persone si sentono in dovere di esprimere un giudizio su ogni fatto e di allontanare da sé l’altro, sempre percepito come qualcosa di pericoloso che toglie qualcosa alla mia esistenza. Dunque un dialogo fatto sulla logica della sottrazione senza porsi il problema di capire, o almeno sforzarsi di farlo, che l’altro è sempre addizione, anche quando non condividiamo le sue scelte. Siamo liberi di non condividere, troppo liberi, ormai, di odiare tutto e tutti. Siamo davvero liberi?

Pace non perdere a causa degli empi

non invidiare i fautori del male […]

Lascia lo sdegno, desisti dall’ira,

non corrucciarti, faresti del male

Salmo 37

Desiderio

Lo chiamiamo desiderio, quel battere insistente di pensiero che recita l’ave maria dei sensi in fiamme. Ci prende, ci deruba della ragione, del buon senso, della miseria di talune giornate avide. Capita quando non lo cerchiamo, non lo aspettiamo, forse ne abbiamo paura perché è sempre pronto a destabilizzare, ma nonostante tutto a ricreare attimi di intensità.