Poesia: il mio legame con l’assoluto- Avvenire, 22/12/2019

Recensione di “L’abbraccio che manca al giorno” di Valentina Calista. Articolo di Pierangela Rossi per Avvenire. L’articolo è apparso su «Avvenire» il 22 dicembre 2019

“L’abbraccio che manca al giorno”, la poesia eponima di questo prezioso libro di Valentina Calista (Ladolfi, pagine 72, euro 10), è tra le più belle: “Ti riconosco nell’abbraccio che manca al giorno, / alle ore, dalle liturgie scomposte delle stagioni / dai pericoli del loro pregare il perpetuo. / Dal tuo passo che vorrei fosse il mio, / quando barcollo nelle fessure dellqa vita / e nessuna strada sembra volesri tracciare. / Dagli occhi riflessi in figure sconosciute / nel loro portare pietre aggrappate alle spalle. / Al passare di un fiume nelle crepe dei nostri occhi, / al tuonare tuonare nero di un bosco stanco (…)”. E se Ladolfi segue la traccia di un “itinerarium mentis et ationis in Deum”, parafrasando San Bonaventura, (laddove Dio non è pronunciato invano) salta agli occhi il neosurrealismo di Valentina. Per cui, per esempio, la madre ha un cuore di sughero, il padre un cuore di vetro, il fratello un cuore di pane e lei un cuore di paglia: spiega nella poetica Valentina: “La mia poesia nasce da un legame forte con l’assoluto e con la passione per il misticismo della vita. Il sacro della vita è qualcosa che pervade i miei sensi e dunque i miei versi. È la ricerca continua della luce in una vita che è materia ma anche assoluto, se sappiamo ascoltarla. La poesia è per me ricerca, è fotografia istantanea di un assoluto che mi trovo a osservare in momenti di vita, è traccia che l’infinito esiste, è il dono che mi espande l’animo mettendolo in ascolto di ciò che tangibile non è nella frenesia quotidiana. La mia è una ricerca che subisce il fascino del richiamo del silenzio, quello degli “altissimi”, un misticismo umano che cerca di essere parte della vita e, tuttavia, restare in contato con un divino che è sempre più emarginato dalla contemporaneità. Il manifestarsi di questo divino passa attraverso e soprattutto le cose terrene, attraverso la natura e tutta la sua manifestazione e gli elementi naturali che la compongono: il sacro è nell’acqua, nella pioggia, nel gatto acciambellato nel suo cesto, nel calore del focolaio domestico, nell’antichità del fuoco, nella foglia che cade, nel sole che si oscura e cede il passo alla notte”. E spiega così l’impianto del libro: “L’abbraccio che manca al giorno è il risultato di un percorso in cui il silenzio della meditazione sulla vita ha concesso alla poesia di cantare la materia stessa ed innalzarla a sacra. Il valore sacro del quotidiano, l’umanità spesso assente da questa contemporaneità, i piccoli spazi di cui ci si deve riappropriare per “essere” sono, appunto, quell’abbraccio che manca al giorno e che deve essere riconquistato dall’uomo per definirsi tale. Il linguaggio e i riferimenti alla religiosità sono dei ponti che legano la nostra tradizione e cultura alle antiche radici dello spirito. Nel libro ciò che emerge è il rapporto con le realtà minime della vita innalzate a valore sacro per difendersi dall’assurdo e dalle inconsistenze. Di fronte all’assurdo solo la dimensione spirituale del ritrovarsi, l’immensità del creato e l’amore umano ridonano all’esistenza quel senso profondo, riuscendo ad aprire dei varchi tra il qui ed ora ed il divino, l’assoluto.L’abbraccio che manca al giorno è la ricerca silenziosa di armonia della vita attraverso le tracce impercettibili della sacralità dell’esistenza”. Libro da non perdere. Valentina vive e lavora in Inghilterra. Studia la ricezione biblica e teologica nel Novecento italiano. Ha studiato i salmi nella poesia di David Maria Turoldo. Finora ha pubblicato “La vertigine dell’andatura”, “Oltretutto”, “Carne Sacra”.

Il bene e il male: liberi di odiare. Siamo davvero liberi?

La violenza è sempre esistita, eternamente il male vuole prevalere sul bene e quest’ultimo, dalla notte dei tempi, lotta per impedirlo. Le religioni, la teologia e la filosofia hanno per prime cercato di scandagliare l’abisso del mistero del male, il quale da sempre stimola tormento e angoscia nella coscienza dell’uomo. «Dio è morto», ha detto, lapidariamente, Nietzsche. Bene e male sono le due entità che muovono il mondo e l’essere umano, le sue azioni, dal singolo alla massa.

Perennemente in antitesi, già in antichità per la filosofia il male era inteso come non-essere. Il male è quindi un non-esistere? La Storia ci ha posto spesso davanti al male estremo e alla domanda Perché esiste il male? Non andranno più via dalle nostre menti le immagini degli stermini di massa, dei sopravvissuti ai campi di concentramento, dei corpi esanimi dei migranti che galleggiano sull’acqua trasportati dalla marea da un estremo all’altro del Mediterraneo, degli abusi sugli animali vittime della malvagità dell’uomo.

Il male c’è, è lo sappiamo. Eppure, nonostante le infinite prove che il male ci ha dato della sua esistenza e del potere dell’uomo di assecondarlo o meno, continuiamo ciechi a navigare nei suoi abissi. Per Sant’Agostino il male appartiene alla sfera umana. Tuttavia, l’uomo ha facoltà di discernimento e per imparare a farlo è necessario porsi in ascolto della nostra anima e intraprendere un dialogo con sé stessi molto impegnativo. A un certo punto capiremo come comportarci davanti al bivio, se lo vogliamo, se lo sappiamo pensare. Molti, infatti, hanno perso questa facoltà o forse, molto probabilmente, non l’hanno mai coltivata: «Supera te stesso e supererai il mondo» scriveva il Santo d’Ippona.

È chiaro che oggi l’uomo ha perso la capacità di superare sé stesso e di provare quel meraviglioso e benefico sentimento che è la compassione. Per questo l’uomo contemporaneo non conosce davvero il mondo, pur viaggiando e andando sulla luna. Ma cos’è davvero la compassione? La parola, di derivazione latina, ci riconduce immediatamente alla capacità di soffrire insieme: cum (con) patior (soffro). Eppure siamo stati in grado di far pendere l’ago della bilancia sull’uso di questo termine in senso di pietà, non la pietas dell’affettuoso dolore e commossa partecipazione ma quella della commiserazione e del disprezzo.

E quindi? Non siamo più in grado di soffrire con l’altro, con il nostro prossimo, con il vicino, con chi è altro da noi. L’altro, questo sconosciuto. Viviamo in un’epoca in cui ogni cosa che è altro da noi è percepita come pericolo alla nostra integrità morale e fisica. L’altro è il nemico che si insinua nella nostra vita, nella nostra interiorità, nella nostra società, nella nostra personale piramide di idee, sempre pronto a rubarci qualcosa. Ma cosa?

L’ideologia è la peggior nemica del dialogo. Le ideologie spezzano, rompono, frantumano la possibilità di dialogo attraverso la violenza. Io sono cristiano, tu sei musulmano, io sono eterosessuale, tu sei omosessuale, io sono bianco, tu sei “negro”, io sono borghese, tu sei un poveraccio, io sono un commerciante in rovina per colpa delle salate tasse che devo pagare allo Stato, tu sei l’impiegato statale, l’insegnante che beneficia di tre mesi di vacanze sulle spalle dei cittadini. Sono solo esempi.

Una dicotomia dialettica tutta basata sulla profonda distanza dell’io dal tu. L’io che fa il j’accuse al tu. I ponti non esistono più, abbiamo costruito solo muri. Tu sei “altro” da me, da ciò che io sono convinto essere giusto. Per Socrate il male era l’ignoranza, il bene era la sapienza, la conoscenza. L’ignoranza è il motore di questa deriva sociale, psicologica, morale, spirituale e culturale. Ignoranza intesa soprattutto nel suo primario significato di non conoscere e, poi, come qualcosa che si dovrebbe sapere e non si sa. Pertanto l’ignorante è colui che ignora le altre realtà esistenti, è colui che non conosce altro da sé stesso. Nella visione socratica del male, se quest’ultimo è l’ignoranza, l’ignorante è messaggero del male. Da questo piccolo spazio che è l’ignoranza, in cui l’io si contorce su sé stesso senza volontà di apertura all’altro, il giudizio si sedimenta creando l’odio.  

Un grande osservatore del nostro folle  tempo contemporaneo, il poeta e saggista David Maria Turoldo, prete servo di Maria, ha dedicato tutta la sua vita cercando di incanalare il suo pensiero sul mondo nella sua scrittura fatta di riflessione profonda su quell’eterna lotta tra il bene e il male all’interno della quale si compie la Storia, da lui definita «cronaca nera del mondo». Siamo nell’epoca della “cronaca nera del mondo” in cui molte persone si sentono in dovere di esprimere un giudizio su ogni fatto e di allontanare da sé l’altro, sempre percepito come qualcosa di pericoloso che toglie qualcosa alla mia esistenza. Dunque un dialogo fatto sulla logica della sottrazione senza porsi il problema di capire, o almeno sforzarsi di farlo, che l’altro è sempre addizione, anche quando non condividiamo le sue scelte. Siamo liberi di non condividere, troppo liberi, ormai, di odiare tutto e tutti. Siamo davvero liberi?

Pace non perdere a causa degli empi

non invidiare i fautori del male […]

Lascia lo sdegno, desisti dall’ira,

non corrucciarti, faresti del male

Salmo 37

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Sono sicura che un tempo – di Valentina Calista

Sono sicura

che un tempo le nostre mani

s’intrecciavano alla terra bruna

e i capelli carezzavano l’erbature

delle giuste germogliazioni.

Cari ci erano tutti gli esseri

che nel respiro ci somigliavano,

nell’istinto di animalesca presenza

eravamo la pace  tutta raggruppata.

Quando si potevano ancora toccare

le sentinelle del Creato, senza così

essere uccisi dalla bellezza mancata.

Perché la potevamo cogliere, amare.